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Immagine del redattoreCommunication Lab

EDITORIALE NUMERO UNO / THE SHOW MUST GO ON

In questo periodo in cui siamo stati forzatamente obbligati ad una diversa distribuzione del nostro tempo - riscoprendo anche la bellezza ed utilità di dedicarsene un po’ - mi è capitato di frequentare vari salotti promossi dai e sui social, dove ho ascoltato con piacere variegate voci sul tema di come interpretare e coniugare la crisi planetaria che stiamo attraversando.

Ho avuto nel contempo anche la possibilità di intervistare diversi imprenditori su come stanno vivendo la contingenza della crisi e, soprattutto, che tipo di strategia stanno pensando ed attuando in vista della “riapertura dei cancelli”.

Prima di qualsiasi altra considerazione, vorrei soffermarmi un attimo su ciò che ho provato. Ebbene, le parole ascoltate si sono posate sul terreno del mio inconscio che l’emotività del periodo aveva in qualche modo arato e preparato, cosicchè l’effetto che ne è conseguito è stato pari ad un’abbondante innaffiatura rigeneratrice dopo un giorno di arsura estiva. Ho sentito che gli input che ascoltavo generavano riflessioni e che queste mi facevano bene. Restituivano, in qualche modo, umanità e senso alla vita, prima che al lavoro. Costretto a riflettere, ne ho assaporato il potere liberatorio.

Il Covid è un virus di “periodo”, ha a che fare con un mondo globalizzato, dove il termine “globalizzato” sottintende spesso un asservimento prono al modello economico-finanziario che lo genera ed alimenta. Non tutto, ovviamente, è diabolico e perverso. Anzi, ciascuno di noi ha le proprie sirene ammaliatrici il cui canto non vuole cessar di sentire, l’inconscia aspirazione che, passata la buriana, tutto torni come prima, in quell’area di confort che consente a ciascuno di poter mantenere il proprio status quo personale. Potremmo pertanto dire che il primo pensiero che ciascuno di noi ha fatto è in relazione a quante limitazioni sarà costretto a sopportare in ragione di una ripresa che sarà laboriosa e complessa e come impedire che tutto ciò, fatualmente, accada.

Il Covid è un virus di “periodo” e, suo malgrado, si muove intimamente legato alle macro questioni aperte, le tiene agganciate saldamente ai suoi tentacoli, come le vite che ha soffocato senza distinzione alcuna. La questione ambientale, con il timer che sappiamo essere attivato e che ci impone scelte drastiche e tempestive, pena l’entrata in area non ritorno, piuttosto che il tema dell’equità in contrapposizione ad un generico concetto di uguaglianza, professato e sbandierato da tutti noi profeti del terzio millennio, ma che poco concede in termini di giustizia sociale, la qualità della nostra vita, progressivamente spossessata di spazi e tempi rigeneratori, la questione morale, con la crisi delle istituzioni che vanno a braccetto con il malaffare e….

Ognuno di noi potrebbe completare l’elenco annotando ciò che vorrebbe riformato e rigenerato da questa crisi che è planetaria non tanto e non solo perchè il virus, democraticamente, può colpire potenzialmente tutti ed in qualsiasi luogo, ma anche perché sono planetarie le emergenze che, insieme con lui, riaffiorano con decisa intensità.

The show must go on, è un’aspirazione legittima che dobbiamo avere e nutrire, perché ci può essere un futuro, se c’è il presente. Se quest’ultimo è un non luogo, lo sarà a maggior ragione anche il futuro.

Ma non perdiamo l’occasione di considerare la pandemia come un’opportunità, cruda e spietata, ma pur sempre un’opportunità.

Opportunità di piccoli cambiamenti personali e che divengono, in ragione di leggi fisiche e matematiche, delle vere e proprie rivoluzioni non cruente. Solo così rendiamo non vane le vite spezzate, le difficoltà economiche, le ansie aleggianti.

Tra le tante cose ascoltate e meditate, mi riemerge con prepotenza la frase di un imprenditore che ho ascoltato che riporto:

non saremo chiamati a fare cose diverse, saremo chiamati a farle in modo diverso.

Buon cammino, Sergio Manuelli, direttore di Communication Lab


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